RS 22 GENNAIO 2021

PEDRIZZI (EX PRES. COMMISSIONE FINANZE SENATO): “CON CHIUSURA ATTIVITÀ DI GIOCO LEGALE, MAFIE HANNO DECUPLICATO GUADAGNI CON SCOMMESSE ILLEGALI”
(AGIMEG – 22/01/2021)
“La crisi del settore dei giochi autorizzati causata dalle chiusure legate al Covid, in Italia, sta devastando le imprese del settore e favorendo il business illegale della grande criminalità organizzata che gestisce le scommesse illegali. Il governo deve farsi assolutamente carico del problema e intervenire con un sostegno economico, adottando quanto prima misure per la riapertura delle attività e reprimendo le diramazioni illecite del sistema giochi”. La denuncia è di Riccardo Pedrizzi, già Presidente della Commissione Finanze e Tesoro del Senato dal 2001 al 2006.
“La filiera del gioco legale, che nel passato ha contribuito al gettito dello Stato per oltre 11 miliardi di Euro nei primi 10 mesi dello scorso anno ha visto ridursi queste entrate di 4,5 miliardi. Circa l’80% del calo è imputabile alla perdita di gettito registrata dal canale retail (sale gioco, agenzie di scommesse e Bingo) non solo per le chiusure disposte dai vari DPCM, ma perché i giocatori si sono spostati sul gioco illegale, come ha recentemente confermato il direttore generale delle Dogane e dei Monopoli, prof. Marcello Minenna”.
Secondo Pedrizzi, le cause del crollo del gioco legale e dell’incremento di quello illegale sono molteplici: “Innanzitutto il trattamento penalizzante di un settore che aveva predisposto un rigoroso protocollo per il contenimento del Covid 19 e che con il Dpcm dello scorso 24 ottobre e quello degli scorsi giorni ha visto la nuova chiusura di tutte le sale ed i casinò, a differenza di altre attività economiche. Eppure non risulta che ci siano stati casi di focolai in qualche sala. A questo si aggiunge il calo delle scommesse dovuto anche agli interventi normativi sulla aliquota di imposta; il minor reddito procapite dei giocatori; la riduzione della rete dei negozi; l’espulsione del gioco legale dai centri urbani in applicazione di leggi regionali e comunali…”. Le conseguenze sono per il settore – continua Pedrizzi – la perdita di migliaia di posto di lavoro diretti o dell’indotto, con forti penalizzazioni delle piccole imprese familiari di gestione di agenzie di scommesse ed esercizi pubblici.
“Stiamo parlando di 14.800 tra attività diretta o integrata negli esercizi dedicati, 12.000 gestori, quasi 28.000 assimilati cioè in esercizi come i bar dove sono presenti awp, 1.700 produttori, oltre a 12.000 lavoratori delle sale bingo. Solo per le sale scommesse ci sono in ballo 25.000 posti di lavoro diretti. A questo pezzo di filiera si aggiunge tutto il comparto dei Concessionari, un segmento della filiera che, oltre il ruolo di sostituto d’imposta nell’interesse dello Stato, svolge anche quello di garante della legalità della trasparenza e della regolarità di tutto il processo del gioco (si pensi, ad esempio al collegamento delle varie “macchinette” alla Sogei). Occorre – conclude il già Presidente della Commissione Finanze e Tesoro del Senato – perciò varare al più presto un nuovo Testo Unico che raccolga e sintetizzi tutta la normativa; devolvere una parte delle entrate a Regioni e Comuni; incentivare ed intensificare il controllo del territorio per contrastare il gioco illegale; coordinare le competenze tra Stato ed Enti locali e trai vari ministeri”.

IL GIOCO PUBBLICO TRA PARITÀ DI GENERE E UNA DUPLICE DISCRIMINAZIONE
(GIOCONEWS – 22/01/2021)
Mentre il gioco rimane chiuso e le donne aspettano di incontrare il premier, il settore si scontra con altre (gravi) discriminazioni: celate o evidenti che siano.
Diciamo la verità: se c’è un settore di fronte al quale la politica applica una perfetta parità di genere è senz’altro quello dei giochi. Continuando cioè a ignorare allo stesso modo sia gli uomini che le donne che appartengono al settore. Questo, almeno, consentendoci la provocazione, è quanto è avvenuto – più o meno sistematicamente – fino ad oggi, attraverso un atteggiamento ostile perpetrato nel tempo, di governo in governo, nei confronti del comparto. Ora però il premier Giuseppe Conte ha l’opportunità di smentirci. Dando seguito a quella “mezza promessa” di incontro rivolta ieri alla promotrice del movimento di protesta, tutto femminile, che ha pacificamente (e con tanto di omaggi floreali) occupato la piazza di Montecitorio. In un’iniziativa che è riuscita a trasmettere la grave difficoltà in cui si trova l’intero comparto e, al tempo stesso, la difficile situazione che – al di là delle nostre provocazioni – si trovano a vivere realmente le donne che lavorano in questo settore. Quali vittime di una duplice discriminazione: subendo le varie difficoltà che affrontare oggi tutte le donne lavoratrici, a cui si aggiungono gli ulteriori ostacoli a cui vanno incontro gli operatori del gioco. Per un mix che diventa a dir poco letale, in tempi di pandemia. Al punto che la tematica è stata portata sotto i riflettori (sia pure timidamente) anche da qualche deputato che ha pensato bene di citare il caso delle donne del gioco anche sugli schermi televisivi, dove la materia non trova normalmente grandi spazi di conversazione.
Eppure il gioco pubblico, nella sua globalità e unione di genere, si trova a vivere e a subire un’ulteriore discriminazione. Anzi, altre due. La prima è quella che abbiamo tutti sotto gli occhi da qualche mese, da quando cioè il governo ha iniziato a dettare la linea delle chiusure durante la gestione emergenziale della pandemia, mettendo le attività di gioco in secondo piano (e in ultima posizione) rispetto a ogni altro settore economico del nostro paese. L’unico comparto che non sembra meritare neppure un dibattito o una discussione aperta sull’ipotesi di adottare altri tipi di restrizioni, come le fasce orarie, o geografiche od ogni altro tipo di limitazione che non sia la chiusura totale e senza condizioni. La seconda discriminazione, però, è se possibile ancora più grave anche se ad oggi appare ancora meno evidente. Si tratta cioè della disparità di “trattazione” (e non ancora di “trattamento”, almeno per ora) tra la materia gioco pubblico e quella del gioco “diversamente pubblico”, come potrebbe essere considerata quella che passa attraverso le case da gioco italiane. Ovvero, i tre casinò del Nord della Penisola (Saint-Vincent, Sanremo e Venezia) per i quali, a differenza degli altri giochi (direttamente) di Stato, si susseguono le prese di posizione da parte di politica (sia di maggioranza che di opposizione) e istituzioni. Regioni comprese. Ovvero, anche quelle stesse componenti del sistema che si trovano a contestare il gioco pubblico, esercitando un potere non pienamente riconosciuto, che ha portato all’annosa Questione Territoriale e all’espulsione del gioco legale da tanti territori, si trovano in qualche caso d’accordo con la concessione di eventuali condizioni particolari per la riapertura dei casinò. Ciò vale, almeno, per le Regioni che sono direttamente coinvolte nella gestione di queste strutture (Liguria, Veneto e Valle d’Aosta), ed appare pure comprensibile, vista la partecipazione diretta o indiretta (cioè attraverso i comuni, come avviene per Sanremo e Venezia) nelle stesse società. Al punto che nessuno sembra ritenere inverosimile pensare a una riapertura delle case da gioco proprio nel momento in cui tutto il resto del gioco viene tenuto con le saracinesche abbassate. Anzi, a dirla tutta, nelle scorse ore è stato addirittura approvato un Ordine del giorno alla Camera – nell’ambito della discussione in Aula alla Camera del disegno di conversione in legge del Dl Natale – che impegna il Governo “ad adottare tutte le iniziative necessarie, al fine di prevedere in tempi rapidi la riapertura dell’attività del Casinò di Sanremo”.
Con la motivazione principale che indica come “gli effetti socioeconomici non possono che determinare benefici, non solo a livello locale, ma anche per l’intero Paese”, come spiegato dal firmatario, cioè il deputato della Lega Flavio Di Muro. Oltre a una serie di altre considerazioni, sull’importanza economica e sulla criticità finanziaria, che renderebbero urgente la riapertura. Cioè le stesse identiche argomentazioni che vengono da tempo fornite anche dagli operatori del gioco pubblico, pur rimanendo inascoltate. Mentre, nello stesso tempo, anche al Mef di discute pure della riapertura del casinò di Saint-Vincent.
Ecco quindi che, se davvero di dovesse decidere di optare per la riapertura (legittima) delle case da gioco, senza riaprire al tempo stesso le altre attività di gioco, si andrebbe incontro a un’enorme discriminazione nei confronti degli addetti ai lavori, che stavolta non potrebbe probabilmente reggere neppure in tribunale, per quanto evidente. Da qui la possibilità – volendo essere ancora una volta ottimisti – che la battaglia portata avanti al Nord (e non solo) per la riapertura dei casinò, possa finire col favorire, sia pure indirettamente, anche il settore del gioco pubblico, visto che i principi messi nero su bianco in aula alla Camera ricalcano tautologicamente le istanze degli addetti ai lavori di sale slot, bingo e agenzie di scommesse e dell’intero Gaming retail. Che sia quindi arrivato il momento di porre fine alle molteplici discriminazioni subite dagli operatori del gioco? La speranza – si sa – è l’ultima a morire: intanto, potere alle donne (un po’ meno, magari, ai casinò).

GIOCHI E SCOMMESSE. PUCCI (AS.TRO) PROPONE UN MANIFESTO PER CHIEDERE LA RIAPERTURA GENERALIZZATA DELLE ATTIVITÀ ECONOMICHE
(JAMMA – 22/01/2021)
Il Presidente si AS.TRO scrive ai Presidenti delle associazioni Anpals Palestre, Filcams Cgil Turismo e Ristorazione, Agi Spettacolo, Acadi e GiocareItalia, auspicando la «redazione di un manifesto da presentare al Governo. Un documento che trarrebbe la propria autorevolezza non solo dalla vastità del bacino di rappresentanza cui farebbe riferimento ma, anche e soprattutto, dalla novità dell’idea che con esso si dovrebbe riuscire a trasmettere: l’insorgenza di un sentire comune che sta crescendo trasversalmente tra le diverse realtà imprenditoriali presenti nel Paese».
«Al netto dei problemi specifici che riguardano le categorie che ciascuno di noi rappresenta, – prosegue Pucci – esiste un tratto che ci accomuna il quale va oltre la triste presa d’atto delle rilevanti perdite economiche che stiamo patendo. L’elemento che rende veramente peculiare la nostra comune esperienza è costituito dal rappresentare la quasi totalità della platea di imprenditori “relegati” nell’insieme indistinto delle attività “non essenziali”: un’impropria classificazione che pecca su due fronti.
Prima di tutto, fatta ovviamente eccezione per le attività che offrono beni di prima necessità (tra cui rientrano di certo i generi alimentari e i medicinali), per le quali il parametro dell’ “essenzialità” presenta indubbiamente connotati oggettivi, per il resto, l’adozione di questo criterio non può che rispondere a valutazioni soggettive, inammissibili in uno stato liberaldemocratico in cui la sopravvivenza economica dei soggetti è legata alle dinamiche di un’economia di mercato, per cui ogni attività è da considerarsi “essenziale”, per il solo fatto che rappresenta l’unica fonte di sostentamento economico per chi vi opera.
ln secondo luogo, proprio la realtà che stiamo osservando, ci conferma quanto sia al contempo ingannevole e discriminatoria l’applicazione del concetto di essenzialità: senza voler gettare fango sui settori economici per i quali risulta tuttora consentita la prosecuzione delle attività (anche loro parzialmente penalizzati dall’emergenza epidemiologica), è facile constatare che gran parte di essi non offrono beni primari.
Esiste poi una questione di più ampio respiro, di natura squisitamente politica, che riterrei necessario mettere al centro di questo manifesto comune. Una questione che parte dalla consapevolezza che sta già maturando nelle nostre coscienze: se l’attuale situazione non dovesse presentare, entro breve termine, dei positivi segnali di svolta, nel senso di una rilevante attenuazione dell’attuale quadro pandemico e se il Governo non dovesse cambiare le strategie di contenimento fin qui adottate, saremmo inevitabilmente destinati a sparire in maniera definitiva dal panorama economico e sociale del Paese. Viene quindi spontaneo chiedersi se le autorità politiche abbiano presente questa eventualità e, in tal caso, se la considerino come un fenomeno ineluttabile o stiano invece già pianificando gli strumenti necessari a scongiurarla.
Il quesito diventa ancor più pertinente nel momento in cui abbiamo preso atto che lo Stato, per ragioni certamente non tutte imputabili all’attuale Governo, non è in grado di supportare economicamente, in maniera adeguata, gli imprenditori e i commercianti penalizzati dalle restrizioni.
Sia chiaro che non intendo contestare il fatto che lo strumento delle limitazioni di alcune libertà economiche e personali sia stato fin qui necessario (al netto di alcuni errori e palesi incongruenze).
Mi chiedo però se l’attuale sistema economico e sociale renda compatibile il protrarsi a tempo indeterminato delle attuali restrizioni, data l’accertata impossibilità (almeno per ciò che riguarda l’Italia) di assicurare gli adeguati sostegni economici a chi ne sta subendo le conseguenze.
Si tratta ovviamente di una domanda retorica: già stiamo toccando con le nostre mani l’insostenibilità di un ulteriore protrarsi sine die di questa situazione.
L’occasione che quindi ci offre questo tavolo che si è aperto, ampio e variegato nella sua rappresentanza, è proprio quella di lanciare una proposta forte e coraggiosa che consista nell’iniziare quantomeno a immaginare l’idea che, in assenza di una svolta positiva e in tempi brevi del quadro epidemiologico, si debba comunque procedere ad una riapertura generalizzata delle attività economiche e ad un sostanziale allentamento delle limitazioni alla libertà personale.
Il tutto, ovviamente, mantenendo le basilari misure di contenimento del contagio (distanziamento interpersonale, divieto di assembramento, igiene e dispositivi di protezione individuale) e i protocolli di sicurezza specifici per ogni tipologia di attività. Al mantenimento ed al perfezionamento di tali misure, dovrebbe accompagnarsi uno sforzo dello Stato, il quale, al pari di quanto avviene nelle situazioni di guerra, dovrebbe mettere in campo tutte le sue risorse (riformando radicalmente, anche con strumenti giuridici straordinari, la propria capacità implementativa e decisionale) per portare finalmente il sistema sanitario ad un livello adeguato alla gravità dell’emergenza e per organizzare un sistema di controlli fin qui insufficiente.
Comprendo che si tratta di una proposta foriera di rischi non trascurabili, ma credo che resti l’unica prospettiva attualmente immaginabile (a fronte dell’oggettiva impossibilità di un intervento pubblico idoneo a ristorare adeguatamente i danni economici collaterali alle attuali restrizioni) per evitare la desertificazione economica del Paese, il crollo psicologico e la morte sociale dei suoi cittadini, le guerre tra poveri.
Auspicando la più ampia condivisione dei contenuti di questo mio appello, che, per quanto mi riguarda, estenderò anche alle altre associazioni del settore del gioco lecito, resto in attesa del contributo di idee, da parte di ciascuno di Voi, per iniziare ad intraprendere questo nuovo comune percorso».

CAGLIARI: POLIZIA SEQUESTRA SEI APPARECCHI DA GIOCO IRREGOLARI, MULTA DA 66MILA EURO PER IL TITOLARE
(AGIMEG – 22/01/2021)
La Polizia di Cagliari, durante una serie di controlli effettuati nel centro cittadino di Sestu, ha imposto la chiusura di un circolo privato, funzionante nonostante il divieto previsto dall’attuale normativa anti- Covid-19, sanzionando il titolare, un 59enne di Villacidro, per oltre 400 euro. Lo stesso è stato denunciato anche per la mancata esposizione al pubblico della prescritta tabella dei giochi proibiti.
La Squadra Amministrativa della Questura ha proceduto anche al controllo di un pubblico esercizio di Capoterra, dove, in una saletta attigua, i poliziotti hanno rinvenuto 6 apparecchi da gioco totalmente irregolari e non collegati telematicamente con i Monopoli di Stato. All’esito delle operazioni gli apparecchi elettronici sono stati sequestrati e nei confronti del titolare dell’esercizio sono state elevate sanzioni amministrative per oltre 66.000 euro.

ROMA, SCOVATA SALA SCOMMESSE ILLEGALE
(PRESSGIOCHI – 22/01/2021)
I funzionari ADM della Direzione Antifrode e Controlli, unitamente ai militari del Comando Provinciale di Roma della GdF, hanno individuato una sala scommesse
illegale nel quartiere Labaro che, nonostante la vigenza delle disposizioni volte a fronteggiare l’emergenza epidemiologica da Covid-19, continuava a svolgere la propria attività. Il titolare della sala è stato sanzionato per violazione delle norme di contenimento della pandemia e denunciato alla Procura della Repubblica per esercizio abusivo della raccolta di scommesse senza la prevista autorizzazione di pubblica sicurezza. L’operazione si inserisce nel più ampio dispositivo messo in campo da ADM e GdF per il controllo economico del territorio e a salvaguardia della salute dei cittadini.