RS 7 APRILE 2021

DURIGON (MEF): “NEL PROSSIMO DECRETO SOSTEGNI INTERVENTI A FAVORE DEL SETTORE GIOCHI, RIDUZIONE PREU E PROROGA CONCESSIONI”
(PRESSGIOCHI – 07/04/2021)
“Stiamo lavorando a una serie di norme a sostegno del settore” afferma al Messaggero il sottosegretario all’economia con delega ai giochi, Claudio Durigon della Lega.
“L’intenzione è di bloccare il Preu, il prelievo erariale unico e allungare le concessioni delle Awp, delle Vlt e delle sale scommesse”. Le norme dovrebbero trovare spazio nel prossimo decreto sostegni.
Innanzitutto il versamento delle prossime rate del preu dovrebbe essere sospeso fino al prossimo 29 ottobre. Non solo. Per la prima volta dopo anni di costante di incremento sulla tassa delle slot machine, nel provvedimento allo studio del Tesoro, dovrebbe essere inserito un taglio del prelievo.
La riduzione sarebbe dell’1% per le Awp e per le Vlt.
Le aliquote del preu sono state fissate rispettivamente nel 23,85% sia al 31 dicembre 2020 e nel 24% a decorrere dal 1 gennaio di quest’anno, delle somme giocate per gli apparecchi Awp e nell’8,5% sino al 31 dicembre 2020 e nel 8,60% a decorrere dal 1 gennaio 2021 delle somme giocate negli apparecchi Vlt.
Ma la norma più attesa – scrive Andrea Bassi – sarebbe un’altra. Nel decreto sostegni verrebbe inserita una norma con un allungamento delle concessioni di quattro anni.
La scadenza per le slot è al momento prevista per marzo del prossimo anno. L’allungamento dovrebbe arrivare fino al 2026. E lo stesso dovrebbe accadere per le sale scommesse, le cui concessioni sono invece scadute da tempo e rinnovate di anno in anno. Le misure come detto, dovrebbero trovare spazio nel prossimo decreto e non in quello in conversione.

SABATINI (DIR. GEN. ABI): “PROBLEMATICHE ACCESSO AL CREDITO DI OPERATORI DEL GIOCO SOTTO LA NOSTRA ATTENZIONE. INSIEME AD ADM STIAMO CERCANDO DI TROVARE SOLUZIONI PER UN SETTORE IMPORTANTE MA CHE RICHIEDE VERIFICHE”
(AGIMEG – 07/04/2021)
“Incentivare la solidità della struttura finanziaria delle imprese è fondamentale per avere una robusta ripartenza dell’economia. L’esplosione della pandemia ha causato un fabbisogno eccezionale di liquidità e di risorse finanziarie, determinando il ruolo fondamentale del settore bancario. Infatti, i finanziamenti garantiti ammontano ad oltre 152 miliardi di euro. A ciò vanno aggiunti i 189 miliardi di euro delle moratorie. Questi dati riflettono una dinamica sostenuta del credito”. E’ quanto ha affermato il Direttore Generale dell’Associazione Bancaria Italiana (ABI), Giovanni Sabatini, in audizione alla Commissione Finanze della Camera. “L’evoluzione della situazione sanitaria e le misure di contenimento in corso per le attività economiche richiede che per tutta la durata dell’emergenza rimangano in piedi i sostegni. Inoltre, una volta superata la fase emergenziale, il ritiro delle suddette misure va eseguito con la massima gradualità tenendo conto del tessuto economico italiano composto in particolar modo da piccole e medie imprese. Ciò è importante anche in ottica futura ed evitare che le aziende vadano in crisi successivamente con la conseguenza, per le banche, di avere dei crediti deteriorati nei propri bilanci”. Il deputato di Italia Viva, Massimo Ungaro, una volta terminata la relazione dell’ABI ha sottolineato le gravi problematiche per l’accesso al credito del settore del gioco pubblico affermando “Sto ricevendo numero segnalazioni da parte degli operatori di gioco pubblico in merito alla chiusura dei conti da parte delle banche nazionali più grandi. Il gioco pubblico ha al suo interno migliaia di lavoratori e rappresenta un presidio di legalità. Negare il credito al settore del gioco pubblico può rappresentare un problema in termini di inclusione bancaria e mettere in condizioni complicate le aziende del comparto. Dunque, chiedo se l’ABI può chiedere alle proprie associate di non chiudere i conti e permettere la loro apertura agli operatori del gioco pubblico. L’ABI sempre attraverso il Direttore Generale, Giovanni Sabatini, ha risposto: “Il tema è sotto la nostra attenzione e insieme all’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, che ha la vigilanza su questo settore economico, stiamo cercando soluzioni compatibili con quello che noi oggi osserviamo. Il quadro normativo europeo richiede nei confronti di determinati soggetti delle verifiche rafforzate. Laddove queste verifiche non vengono superate o non vengono forniti gli adempimenti richiesti la banca ha l’obbligo, in adempimento a queste regole europee, di chiudere il conto o non aprire il conto. Occorre, e su questo stiamo lavorando, trovare un meccanismo che rispetti le regole europee ma allo stesso tempo consenta ad operatori autorizzati e vigilati di continuare ad operare in un settore importante per l’economia”.

GIOCHI. ASGI A COMMISSIONE UE: “REGOLE TECNICHE PER APPARECCHI DA INTRATTENIMENTO CONTRARIE A NORMATIVA COMUNITARIA”
(JAMMA – 07/04/2021)
New ASGI Italia, rappresenta gli operatori del gioco lecito senza vincite in denaro e raggruppa in tutta Italia le imprese, i gestori e i lavoratori di tale comparto Amusement.
L’associazione ha notificato alla Commissione Europea le proprie osservazione sul progetto di regole tecniche alle quali Bruxelles dovrebbe dare il via libera per poi essere adottate nel nostro Paese. L’associazione non risparmia fori perplessità sulle misure.
“L’azione associativa è volta a rappresentare e tutelare gli interessi delle attività che si occupano della gestione delle sale di puro intrattenimento per famiglie (apparecchi senza vincita in denaro), che in nessun modo possono riprodurre e/o simulare il gioco con vincita in denaro e/o d’azzardo. Trattasi di “gioco di puro intrattenimento”.
In tale veste, di rappresentante di categoria, l’associazione intende portare a conoscenza dell’Ecc.ma Commissione Europea e segnalare la grave situazione di ingiustizia economico/commerciale che potrà generare il succitato regolamento all’atto della sua applicazione.
Il progetto notificato detta le regole tecniche di produzione, importazione e verifica degli apparecchi senza vincita in denaro, invero però contravvenendo alle direttive europee ne limita il libero scambio intercomunitario, ponendo in grave difficoltà i gestori Italiani nello svolgimento della propria attività, in contrasto con la Direttiva 123/2006/CE (C.d. “Direttiva Servizi” o “Direttiva Bolkestein”), così come recepita dal legislatore interno con il D. Lgs. n. 59/2010 attuativo della citata Direttiva, all’Art. 7, lettera d) conferma che tra i servizi esclusi dall’applicazione del decreto, risultano esclusivamente “il gioco d’azzardo e di fortuna comprese le lotterie, le scommesse e le attività delle case da gioco…” (intendendosi per “gioco d’azzardo” cui servizi di gioco con distribuzione di vincite in denaro). Il Progetto in oggetto impone invece, agli operatori del settore molteplici certificazioni, schede esplicative, registri, verifiche tecniche, diversi tipi di Nulla Osta, di distribuzione e per la messa in esercizio, e dal possesso dell’autorizzazione di cui all’art.86 del TULPS. Sottoponendo ingiustificatamente i giochi senza vincita in denaro alla stessa normativa e allo stesso regime di Monopolio, dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli per i giochi con vincita in denaro, con costi che gravano pesantemente nell’acquisto dei prodotti e nella gestione degli operatori italiani. Obbligando a innumerevoli e incomprensibili divieti, sproporzionate e immotivate richieste di documentazioni che ne limitano l’adeguamento alle innovazioni proposte dal mercato europeo e internazionale, immobilizzando l’attività di rinnovamento per poter rilanciare il mercato del gioco di puro intrattenimento.
Discriminando di fatto gli operatori italiani nell’acquisto e libera importazione dei giochi in particolare di giochi usati dagli operatori degli altri stati europei, dove i giochi riconosciuti come “di puro intrattenimento” non vengono considerati come tali dal progetto notificato.
Evidenziamo che il precedente decreto notificato con il numero 2016/211/I non è mai stato emanato. Dall’entrata vigore della Legge n. 228/2012 (1/1/2013), “Il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, non ha mai emanato le regole tecniche che per la produzione, importazione, distribuzione, gestione e installazione dei giochi di puro intrattenimento, che come previsto dalla norma avrebbero dovuto essere adottate entro 3 mesi (entro 1/4/2013).
L’Amministrazione Italiana si è solo limitata ad inviare alla Commissione Europea il decreto notificato con il numero 2016/211/I, senza poi dare seguito alla conseguente emanazione di atti normativi. Evidente è l’eccessiva e spropositata regolamentazione impossibile da applicare, lasciando per anni in un limbo normativo tutti gli operatori italiani dl settore Amusement, che da sempre auspicano in una nuova regolamentazione consona e proporzionata all’attività del gioco di puro intrattenimento senza vincita in denaro, che nulla ha che vedere con il gioco con vincita in denaro e/o d’azzardo.
Tenuto conto anche della sentenza del Tribunale di Firenze n.993/2016 avverso l’ordinanza d’ingiunzione n° prot. 32659 del 5.5.2014 emessa all’agenzia delle Dogane e dei Monopoli per la mancata esposizione dei Nulla Osta, ulteriormente confermata dalle ultime sentenze della Corte d’Appello di Firenze: sentenza n. 740/2020 pubbl. 06/04/2020 RG n. 2037/2016 e dalla sentenza del 15.12.2020 N.R.G. 2005/2016 dove ancora una volta viene ribadita l’illegittimità dei Nulla Osta nelle macchine di puro intrattenimento di cui all’articolo 110 del Comma 7 del TULPS Nazionale. “Ciò perché il rilascio del nulla osta alla messa in esercizio di tali giochi leciti non ha la sua ragion d’essere in alcuna esigenza d’ordine pubblico o di salute pubblica che possa implicare un intervento dello Stato al controllo del libero esercizio di un’attività economica”. (all.3-4)
In buona sostanza, si contesta in particolare l’illegittimità del Nulla Osta per tutta la tipologia del Comma 7, che limita la libera circolazione dei beni e servizi immobilizzando il mercato italiano del gioco del puro intrattenimento, quando per fini fiscali e per contrastare la diffusione dei “TOTEM” esistono già altre disposizioni nell’ordinamento italiano.
Si osserva altresì che come citato nel titolo, trattasi di “Progetto di regole tecniche di produzione, importazione e verifica degli apparecchi” e quindi, non dovrebbe rientrare nelle competenze di detto regolamento la quantificazione del costo della giocata (ad es. il comma 7A si attiva con moneta da 1 euro ecc.) e tanto meno la definizione di modico valore del premio pari a 20 euro (Capo 1 Art.2 lettera t). Oltremodo limite irrisorio e non più adeguato al mercato, rimandandone eventualmente la determinazione ad altra norma nazionale dei singoli stati.
Inoltre, al CAPO 4 (Disposizioni Transitorie e Finali), evidenziamo la totale mancanza di una norma per la salvaguardia del parco macchine esistente, (tutti i giochi già di proprietà degli operatori, già installati o in magazzino), frutto negli anni di considerevoli investimenti, che verrebbe disastrosamente azzerato dal progetto, e che condannerebbe alla definitiva chiusura di tutto il settore, già messo a dura prova dalle chiusure per i lockdown del COVID19 che ancora persistono.
Per quanto sopra esposto riteniamo che il progetto notificato non risponda ai requisiti della normativa comunitaria e non ne recepisca completamente le disposizioni e le direttive, ostacolando la libera circolazione e lo scambio dei giochi senza vincita in denaro all’interno dell’Unione Europea. Confidiamo quindi nella revisione dello stesso e/o nell’eventuale apertura di una procedura d’infrazione”.

ISTAT: ‘LOTTERIE E SCOMMESSE, 53% ATTIVITÀ A RISCHIO OPERATIVO’
(GIOCONEWS – 07/04/2021)
Il nuovo Rapporto sulla competitività dei settori produttivi pubblicato dall’Istat evidenzia gli effetti della pandemia sulla tenuta delle imprese, comprese quelle del gioco e dell’intrattenimento.
Il 53 percento delle attività connesse a lotterie e scommesse è “a rischio operativo” e quasi la metà di esse hanno una tenuta strutturale a rischio.
È quanto emerge dalla lettura del Rapporto sulla competitività dei settori produttivi pubblicato dall’Istat, giunto alla nona edizione, che fornisce un quadro informativo dettagliato e tempestivo sulla struttura, la performance e la dinamica del sistema produttivo italiano e alcune prime misurazioni degli effetti economici della pandemia.
Nel 2020, rimarca l’Istat, le misure necessarie per arginare la pandemia hanno determinato uno shock sull’economica mondiale che ha riguardato sia l’offerta (chiusura di attività e interruzione delle catene del valore), sia la domanda (crollo dei consumi, diminuzione dell’occupazione, riduzione dei redditi).
Scorrendo il Rapporto, si scopre che in Italia il valore aggiunto è diminuito dell’11,1 percento nell’industria in senso stretto, dell’8,1 percento nei servizi, del 6,3 percento nelle costruzioni e del 6,0 percento nell’agricoltura.
Le cadute più marcate si sono registrate in alcuni comparti dei servizi: commercio, trasporti, alberghi e ristorazione (-16 percento); attività artistiche, di intrattenimento e divertimento, di riparazione di beni per la casa (-14,6 percento); attività professionali, scientifiche e tecniche, amministrative e servizi di supporto alle imprese (-10,4 percento).
Tra i settori manifatturieri, il comparto del tessile, abbigliamento e calzature ha subito il crollo più grave (-23 percento ), seguito dai macchinari e mezzi di trasporto (-15 percento). Gli alimentari e il farmaceutico sono stati gli unici settori a registrare incrementi di valore aggiunto (+2 e +3,5 percento rispettivamente).

Secondo i risultati della seconda indagine su “Situazioni e prospettive delle imprese nell’emergenza sanitaria Covid-19”, a fine 2020 il 32,4 percento delle imprese con almeno tre addetti riteneva ancora compromesse le proprie possibilità di sopravvivenza nei primi sei mesi del 2021; il 62 percento prevedeva ricavi in diminuzione e meno del 20 percento riteneva di non avere subito conseguenze o di aver tratto beneficio dalla crisi.
La crisi ha colpito soprattutto le unità di piccola e piccolissima dimensione: a fine 2020 si dichiaravano a rischio oltre il 33 percento delle microimprese (3-9 addetti), il 26,6 percento delle piccole (10-49 addetti), il 15,1 percento delle medie (50-249 addetti) e il 10,7 percento delle grandi (250+ addetti).
Per il 58,1 percento delle imprese con almeno tre addetti il principale vincolo alla ripresa nel primo semestre del 2021 è la diminuzione della domanda nazionale; per il 19,2 percento quella della domanda estera, per il 34,1 percento il rischio di illiquidità, cui provvedere anche attraverso nuove fonti di finanziamento (in particolare l’accensione di nuovo credito bancario).
La quota di chi segnala seri rischi di chiusura è elevata nelle attività delle agenzie di viaggio (oltre 73 percento), in quelle artistiche e di intrattenimento (oltre 60 percento), nell’assistenza sociale non residenziale (circa 60 percento), nel traporto aereo (59 percento), nella ristorazione (55 percento). Nel comparto industriale risaltano le difficoltà della filiera della moda: abbigliamento (oltre 50 percento), pelli (44 percento), tessile (35 percento).
Quasi 300mila unità (circa il 30 percento del totale con almeno tre addetti), in prevalenza microimprese industriali e dei servizi alla persona, sono state “spiazzate” dall’emergenza sanitaria e a fine 2020 non avevano ancora attuato concrete strategie di difesa. Il 25,8 percento (circa 260mila unità) ha reagito introducendo nuovi prodotti, diversificando i canali di vendita e di fornitura (anche con servizi online e di e-commerce), intensificando le relazioni produttive con altre imprese; il 20,9 percento (circa 213mila) ha riorganizzato processi e spazi di lavoro, accelerato la transizione digitale, adottato nuovi modelli di business; il 16 percento (oltre 160mila unità) ha ridotto i fattori produttivi o differito i piani di investimento.
L’evoluzione della crisi ha accelerato la trasformazione digitale, favorendo la diffusione di investimenti in server cloud e postazioni di lavoro virtuali (ora nel 27 percento delle imprese), software per la gestione condivisa di progetti (ora al 19 percento) e, dal lato della vendita, il ricorso all’e-commerce (17,4 percento delle imprese).
La pandemia ha anche accentuato il divario tra i sentieri di sviluppo delle imprese: tra le oltre 215mila unità con almeno 10 addetti, quasi 60mila che nel 2018 risultavano “dinamiche”, ad esempio per investimenti e transizione digitale, stanno reagendo con successo alla crisi in atto, accrescendo la distanza con le circa 68.500 che, già tendenzialmente “statiche”, si confermano tali nella nuova recessione. Queste ultime, per lo più di piccola dimensione, sono presenti in tutti i settori produttivi ma risultano relativamente più diffuse nelle costruzioni, nel commercio, nella ristorazione, nelle attività di intrattenimento e in altri servizi alla persona.
Una “mappa del rischio strutturale” del sistema produttivo, elaborata a partire dalle indagini sugli effetti della crisi, indica che il 45 percento delle imprese con almeno tre addetti (rappresentative del 20,6 percento dell’occupazione e del 6,9 percento del valore aggiunto complessivi) è a “rischio strutturale”: esposte a una violenta crisi esogena, subirebbero conseguenze tali da metterne a repentaglio l’operatività. Solo l’11 percento è solido, ma genera il 46,3 percento dell’occupazione e il 68,8 percento del valore aggiunto totali.
Nei servizi risulta strutturalmente fragile o a rischio circa il 50 percento delle imprese, con picchi elevatissimi in alcuni settori a bassa intensità di conoscenza: ristorazione (95,5 percento), servizi per edificie paesaggio (90 percento), altre attività di servizi alla persona (92,1 percento), assistenza sociale non residenziale (85,6 percento), attività sportive e di intrattenimento (85,5 percento). Nell’industria quote elevate si osservano in alcuni comparti a basso contenuto tecnologico: legno (79,7 percento), costruzioni specializzate (79,7 percento), alimentari (78,5 percento ), abbigliamento (73,2 percento).
Una parte non trascurabile di imprese fragili reagisce attivamente alla crisi riorganizzando processi, gli spazi, gli input di lavoro: nella manifattura, accade soprattutto nei settori di stampa ed editoria (circa il 21 percento delle imprese), carta (17,4 percento), elettronica (17,8 percento), apparecchiature elettriche (16,2 percento); nel terziario, in quelli di servizi postali e corriere (28,8 percento), attività culturali (24,5 percento), pubblicità e ricerche di mercato (17,4 percento).
La crisi pandemica ha avuto un impatto anche sulle strategie di finanziamento delle imprese che, per fronteggiare la crisi di liquidità, hanno utilizzato un insieme ampio di strumenti tra i quali il credito bancario ha svolto un ruolo centrale. Tali strategie appaiono però transitorie e legate alle conseguenze economiche dell’emergenza sanitaria: per il 60,5 percento delle imprese l’attivo rimarrà la principale fonte di finanziamento anche nel primo semestre del 2021, e dovrebbe proseguire la tendenza al deleveraging osservata nel periodo pre-crisi.